La mente è per sua natura instabile ed irrequieta: ognuno di noi lo sperimenta quando si pone l'obiettivo di acquietarla. La mente è il centro di coordinamento delle attività dei sensi ed il recettore di tutte le esperienze sensorie che provengono dal mondo esterno. Anche se chiudiamo occhi ed orecchi c’è una moltitudine di suoni ed immagini che continuano a sorgere all'interno. Questa moltitudine è il prodotto dei sensi interni: possiamo vedere un oggetto nel mondo esterno ed averne una immagine interiore nel nostro mondo interno. Queste immagini talvolta coincidono, ma spesso la mente deforma l'immagine interiore per ricavarne una versione soggettiva diversa da quella oggettiva. I sensi seguono la mente, dove va l'una gli altri la seguono.
Quindi la chiave per il ritiro dei sensi all’interno è concentrare la mente su di un unico punto. Non è il processo di ritirare i sensi che porta alla concentrazione della mente ma è vero il contrario, cioè il concentrare la mente su di un unico punto così da ottenere naturalmente il ritiro dei sensi dai loro oggetti e quindi all'interno di noi stessi. L’origine delle tensioni mentali è nella reazione della nostra mente ai vari messaggi che le arrivano dal mondo esterno. Come rilassarla?
Nello yoga il rilassamento è direttamente collegato alla consapevolezza e il suo scopo è quello di allentare le tensioni che operano a livello della mente (chitta) e a livello muscolare; le tensioni mentali infatti originano nel corpo.
Patanjali (fondatore del sistema dello yoga e autore degli Yoga Sutra, l'antico testo che stabilisce la pratica e la filosofia dello yoga) ci ricorda come, attraverso il “riassorbimento” volontario dei sensi, il pratyahara, si può creare un profondo e veritiero rilassamento che genera conoscenza, intuizione ed energia per proseguire il cammino spirituale.
Il termine Pratyahara è composto da due parole sanskrite, prati e ahara. Ahara significa “cibo” o “tutto ciò che introduciamo nel nostro sistema dall’esterno”, e Prati è una preposizione avente significato di “contro” o “via da”. Pratyahara significa letteralmente “controllo di ahara” o “ottenere padronanza sulle influenze esterne”. La parola Pratyahara può essere associata all’immagine di una tartaruga che ritira le sue membra nel guscio, dove il guscio della tartaruga è la mente e le membra sono i sensi. Il termine è di solito tradotto come “il ritiro dei sensi verso la loro origine”. Così recita un verso della Bhagavad-Gita: “Colui che ritrae i suoi sensi dai loro oggetti esterni, come fa una tartaruga che ritrae le sue membra nel guscio, è ben stabilito nella saggezza”. Bhagavadgītā 2.58
Come funziona la mente?
Per Patanjali si raggiunge lo stato di Yoga quando si sono arrestate le fluttuazioni della mente. Per lo yoga la mente (citta) è intesa come processi mentali di natura materiale. Come controllare allora la mente? Conoscendola, comprendendo il suo funzionamento e la sua attività. Bisogna iniziare con un processo di semplice osservazione: partire dall’osservare cosa ci succede dentro.
Vediamo come la psicologia Vedanta e lo Jnana Yoga utilizzano i concetti di manas, ahankara, buddhi e chitta per giungere alla comprensione delle funzioni mentali.
Manas è la “mente inferiore”, quella parte che è a più diretto contatto con le informazioni in arrivo. Essa raccoglie le percezioni sensoriali e le coordina con le risposte motorie. Data la quantità di stimoli che arrivano, la mente inferiore è in uno stato di cambiamento continuo. Può anche registrare tracce di ricordi. In un certo senso, funziona come un meccanismo di raccolta nel quale si accumula il massimo numero possibile di stimoli sensoriali. Non è in grado di prendere decisioni né di valutare. Accumula l’informazione e reagisce per abitudine o con il concorso degli istinti. Lo yoga afferma che caratteristica fondamentale di manas è il dubbio. Senza l’influenza di zone più evolute della mente, quella sensorio-motoria è estremamente suscettibile al tira e molla degli istinti e delle emozioni. Esempio: nel bel mezzo dell’esecuzione di una posizione yoga, la mente può cominciare a vagare intorno a pensieri sulla cena. I pensieri che si allontanano dal lavoro che stiamo facendo indicano una deficienza delle funzioni mentali superiori tanto che la mente inferiore soccombe all’influenza del primordiale bisogno di cibo. Il corpo è abbandonato dalla mente e l’energia si divide: quella fisica impegnata nel movimento, quella mentale in una fantasticheria sul cibo. Non c’è un livello più elevato di attività che possa integrarle, così la posizione può essere mal eseguita sino magari ad arrivare a farsi male. L’attività mentale, col suo assorbire e sprecare energia, è priva di scopo e fuorviante. Manca una funzione integratrice superiore.
La mente inferiore, manas, quando funziona da sola non può far altro che reagire meccanicamente alle circostanze o agli impulsi.
Ahankara: l’utilizzazione intelligente dei dati che compaiono sullo schermo di manas dipende dall’azione di altre due funzioni. La prima di queste è il senso dell’Io (ahankara). Quando le percezioni sensoriali arrivano attraverso la mente inferiore sensorio-motoria, questo senso dell’Io ha il compito di trasformarle in esperienza personale collegandole all’identità individuale. Questo procura un senso di separatezza dal resto del mondo, una sensazione di distinzione e unicità. Esso è il mezzo che decide ciò che, tra i dati sensori e i ricordi, è “Io”. È la caratteristica della soggettività, l’ego. Ahankara tuttavia è un concetto più ampio di quello di ego, infatti comprende l’intero spettro del senso dell’Io, dalla base degli sforzi più elementari dell’animale per mantenere la propria integrità fino all’intero campo dell’ego normalmente sviluppato ed anche oltre. Non è comunque un agente attivo nell’adottare decisioni e nel produrre pensieri, come l’ego della psicologia occidentale. Costituisce soltanto la delimitazione del senso dell’Io e rappresenta la linea che separa l’“Io” dal “non-Io”.
Buddhi: ogni volta che una percezione in ingresso compare sullo schermo di manas e viene collegata al senso dell’Io, deve essere presa qualche decisione. Deve essere formulato un giudizio e, in alcuni casi, deve essere scelta una risposta. Questa selezione e questo giudizio costituiscono la terza funzione principale. Essa valuta la situazione e stabilisce una linea di condotta. Questo potere decisionale è chiamato, nella psicologia yoga, buddhi. Esso è definito il “gioiello della corona” del discernimento e della comprensione. Per buddhi s’intende, quindi, un particolare tipo di intelligenza o saggezza.
La concezione yoga della mente è determinata da queste tre funzioni; esse occupano il centro della ribalta nella psicologia yoga. La loro attività interdipendente produce ciò che identifichiamo come “la normale coscienza vigile”. Insieme esse costituiscono la “mente” di cui abbiamo consapevolezza. Ma non devono essere considerate come tre distinte entità o facoltà indipendenti. Esse non sono tre personalità minori indipendenti, che possono porsi l’una contro l’altra. Non può sorgere conflitto nella mente per effetto di loro tendenze contrastanti, come invece avviene nella teoria psicoanalitica occidentale dove ego, super-io ed es si contrappongono. È per questo che nella psicologia yoga le tre funzioni manas, ahankara e buddhi sono collettivamente denominate lo “strumento interno”. Esse funzionano come un tutto unico.
Esiste poi un certo numero di altre strutture che circondano, sostengono e sono collegate con questo complesso centrale della mente. Una di queste è la banca dei ricordi o chitta, che rimane per lo più al di fuori della coscienza. È il magazzino delle impressioni e delle passate esperienze. È da qui che i ricordi emergono per comparire sullo schermo della mente inferiore.
Fonte: http://kriyayoga.altervista.org